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Anoressia e terapia familiare
L’anoressia nervosa è una malattia ben conosciuta ormai nella società odierna, ma ben pochi probabilmente sanno, se non gli “addetti al settore”, che è una delle patologie adolescenziali più curate dai terapisti familiari.
In Italia tra i primi a studiare i disturbi del comportamento alimentare fu infatti la psichiatra e psicoterapeuta Mara Selvini Palazzoli, la quale dedicò la maggior parte della sua vita professionale alla cura delle ragazze anoressiche. Iniziò i suoi studi nel 1950 e nel 1963 pubblicò L’anoressia mentale, che la rese famosa a livello internazionale.
La terapeuta parla di un “gioco familiare” caratterizzato da strategie basate sul sintomo (anoressia) e da un potere che il sintomo stesso conferisce alla figlia/figlio nel controllare i genitori. Col tempo ogni membro della famiglia può escogitare strategie per se stesso, basate sull’idea che il sintomo persisterà.
Salvador Minuchin, uno dei padri della terapia famigliare, parla di “famiglia anoressica”, una terminologia che ci sottolinea ed evidenzia come la famiglia sia al centro dell’attenzione e il/la paziente designato/a sia il/la portatore/portatrice di un sintomo di un sistema in realtà molto più complesso.
E’ infatti riduttivo pensare all’anoressia come ad una patologia legata esclusivamente all’immagine che la società odierna rimanda attraverso i mass-media: veline, miss, tronisti, top-model, riviste con diete che promettono miracoli in poco tempo a regimi alimentari assurdi… Tutto questo non è certo positivo ma è un po’ la punta dell’iceberg, la ragazza o il ragazzo che sviluppano un sintomo di questo tipo canalizzano il loro disagio sul corpo ma è “solo”, appunto, un sintomo di un disagio molto più complesso che con la fisicità ha poco a che fare.
Per leggere il sintomo all’interno di un contesto familiare, è necessario pertanto analizzare i “modelli di interazione familiare”.
In questo contesto diventa importante osservare e valutare cioè le relazioni che intercorrono nella famiglia, il panorama trigenerazionale, le linee generazionali, i triangoli all’interno della famiglia e i miti che percorrono le famiglie delle anoressiche.
La famiglia diventa dunque la matrice dell’identità, il luogo dove viene definito il proprio sé.
Attraverso il cambiamento di alcune dinamiche familiari, che possano portare non solo il paziente ma la famiglia stessa a “funzionare” diversamente, si può avere un miglioramento del sintomo, fino alla sua scomparsa. Il sintomo, secondo l’approccio sistemico-relazionale, non va infatti “soffocato” bensì ascoltato e compreso, una funzione c’è sempre e capirlo è un primo passo verso un processo di cambiamento stabile e duraturo.
L’intervento con la famiglia è quello che si è dimostrato più efficace in caso di anoressia anche se in alcuni casi (e quando viene valutato dal terapeuta in ogni singolo caso) l’efficacia maggiore, pensando in termini di follow-up, si ha quando vi è un percorso parallelo individuale.
Fondamentale dal nostro punto di vista è dunque il lavoro in rete: è infatti necessaria un’equipe multidisciplinare che prenda in carico il/la paziente.
La terapia familiare è un luogo in cui poter comunicare, dove è possibile confrontarsi, ascoltarsi, comprendersi. E’ uno spazio e un tempo dove gettare le basi per una nuova narrazione della propria storia familiare. Anche i familiari dei pazienti, in particolare i genitori, hanno bisogno di un luogo dove sentirsi accolti e compresi, senza colpevolizzazioni.
Il decidere di intraprendere un percorso familiare può essere l’inizio di un importante cammino verso il cambiamento.
Dott.ssa Moira Picchi